Lo psicologo: l'Ippoterapia rinforza l'autostima e la fiducia

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- Simonetta Mira, psicologa del Centro di riabilitazione equestre Capitolium (CREC) da oltre 10 anni segue corsi di ippoterapia e ha tenuto lezioni e conferenze in Italia e in Messico.

Cosa ha di diverso questa terapia per mezzo del cavallo rispetto alle altre?
L'aspetto fondamentale che distingue questo trattamento dagli altri più tradizionali è la presenza della forte spinta motivazionale che induce il paziente a diventare protagonista attivo della sua terapia. Il desiderio di "far muovere il cavallo" fa sì che i cavalieri eseguano volentieri le azioni indicate dal terapeuta che hanno finalità riabilitative. Anche l'abbigliamento richiesto, sia agli operatori che ai ragazzi, non sottolinea il fatto che si sta svolgendo un'attività terapeutica psicologica e/o motoria.

Questa terapia è efficace quindi anche a livello psicologico oltre che fisico?
Certamente sì. E' un trattamento molto gratificante che facilita l'emergere di abilità residue (entro i limiti della patologia), ma si estende anche all'ambiente familiare e sociale. A volte accade che sia la famiglia che i compagni di scuola comincino a guardare i diversamente abili con altri occhi, dopo averli visti a cavallo, avviando con loro una comunicazione di qualità diversa. Non dimentichiamo che i disabili percepiscono gli stati d'animo e i giudizi delle persone che li circondano e ciò influisce sul loro umore, sul loro desiderio di apprendere e di relazionarsi.
In questi dieci anni di attività mi è capitato di assistere a miglioramenti nella relazione tra genitori e figli, soprattutto quando l'abilità e il coraggio dimostrati dal figlio nell'andare a cavallo li ha sollevati, in parte, dal senso di colpa della sua disabilità.

Ma quale tipo di intervento svolge uno psicologo seguendo i ragazzi al maneggio?
Lo psicologo sul campo fa gli stessi interventi che farebbe in studio tenendo ovviamente conto dell'ambiente e delle variabili ad esso collegate. Osserva le reazioni del paziente stando attento che le sue azioni servano a rinforzare la sua autostima.
L'obiettivo è fare in modo che il ragazzo trasferisca gli apprendimenti acquisiti in campo, fuori del maneggio e che nasca una nuova fiducia nelle sue potenzialità che deve facilitagli il desiderio di nuovi apprendimenti e di relazionarsi agli altri. A questo proposito è importante che il terapeuta riconosca quando è il momento di intervenire o di tirarsi indietro se il ragazzo avvia una comunicazione positiva con il poliziotto che sorveglia il cavallo.

Questo succede spesso? E in che modo?
Si, solitamente i ragazzi che seguono la terapia presso il maneggio della Polizia di Stato instaurano con gli agenti relazioni positive. Quando noto che queste persone sono stimolanti per lui, lascio che il ragazzo interagisca direttamente con loro, mantenendo la funzione di terapista-osservatrice. Trovo importante per il mio lavoro "utilizzare" come rinforzo positivo, l'immagine che i ragazzi hanno del poliziotto quale figura istituzionale autorevole, simbolo di potenza e di forza. Per alcuni potersi rapportare direttamente agli agenti significa godere della loro considerazione e non sentirsi "diversi". Una percezione positiva di sé dà coraggio e fiducia in se stessi .

Quindi, si può definire un lavoro d'equipe?
A mio modo di vedere, sì. Non accade mai che il poliziotto non rivolga la parola al ragazzo. Se l'approccio si dimostra positivo, la figura dell'agente per me assume una valenza determinante che sarebbe sciocco ignorare. In questi casi non è una figura marginale, un semplice "uomo di cavalli", ma un collaboratore che stimola il ragazzo a relazionarsi e a mostrarsi capace. Un esercizio che inorgoglisce i ragazzi è, per esempio, quello della "pattuglia", in cui il poliziotto sale a cavallo e si affianca al loro per fare esercizio in coppia. In questo caso il mio intervento è quello di ottimizzare il lavoro dando sia piccoli suggerimenti che nascono dall'osservazione sia proponendo obiettivi da raggiungere.
E' innegabile, quindi, che ragazzo-cavallo-terapista-agente collaborano insieme al raggiungimento di uno scopo comune: la scoperta delle potenzialità del disabile per incentivare la sua autostima e un miglior adattamento al contesto e al sistema relazionale in cui vive.

25/11/2004
(modificato il 22/02/2008)
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