"Cacciatori di fantasmi": il giorno più lungo

CONDIVIDI
L'arresto di Bernardo Provenzano

Corleone, martedì 11 aprile 2006, ore 11,25: alcuni poliziotti irrompono in un casolare e arrestano il capo della mafia Bernardo Provenzano, latitante da 43 anni. Palermo, ore 11,27: esplode in questura un boato da stadio. "L'abbiamo preso, l'abbiamo preso!".

Ha il nome di un imperatore uno dei ragazzi della squadra che ha preso il boss dei boss, il capo della mafia. Anche Bernardo Provenzano era un imperatore, ma di un impero costruito sul sangue e sul male. Il viso allegro di A. ti fa capire invece che il denaro per lui non conta nulla: non può contare per farti partire a qualsiasi ora del giorno o della notte se non hai una motivazione, un ideale. Che non può essere quello di fare Rambo, perché il cinema è un'altra cosa.

Lui non è uno qualsiasi, è quello che insieme al funzionario della Polizia di Stato Renato Cortese e ai suoi colleghi T., G., L., P., M., sono entrati per primi nella cascina di Provenzano. "Ma alla cattura eravamo tutti presenti, l'operazione l'abbiamo fatta in 26, coordinati dal dottor Caldarozzi (capo del Servizio centrale operativo della Polizia di Stato ndr). A me mi piace fare 'sto lavoro" dice A. e sembra lo spot di Gigi Proietti quando reclamizza un caffè. "Guarda che quando stavamo immobili come serpenti sulla 'Montagna dei cavalli' che domina la contrada dove era nascosto il boss c'avevamo paura, perché se non c'hai paura non sei uno normale. Poi la paura ti aiuta a non abbassare mai la guardia, a percepire qualsiasi pericolo, come un serpente. E quando stai in un posto lontano da casa e senti che forse questa volta è quella buona per prendere il capo della mafia devi pensare a non fare errori".

Nessun errore è stato fatto. Il boss ora è rinchiuso nel carcere di Terni, catturato dagli uomini dello Sco, e da quelli dell'ex "Squadra catturandi" della questura di Palermo. Gente motivata, fiera di portare una divisa, e "questa volta particolarmente fiera perché è stato un vero lavoro investigativo, alla vecchia maniera, è stata pura indagine e azione" spiega A. Tanta è stata l'adrenalina che si è sprigionata da questa operazione che, a distanza di giorni, il poliziotto ha un filo di voce. Gli leggi in faccia che è pronto a ricominciare, "perché l'orgoglio di mettere le manette a un uomo che nessuno mai era riuscito neanche a individuare, ti ripaga di tutto". "E poi sono felice anche per i colleghi per cui da anni era diventata una specie di missione prendere il capo di Cosa nostra". "E lui era un vero capo, non si fidava di nessuno, nemmeno del figlio, e questo gli ha permesso di restare latitante per tanti anni". "Quello che mi ha dato fastidio - continua il poliziotto - è che qualcuno ha voluto far passare questa operazione per una cosa semplice: come se Provenzano o qualcuno per lui l'avesse voluto consegnare. Non è stato così, il boss quando siamo entrati era sorpreso, ha avuto un piccolo mancamento per l'emozione. Ma subito dopo si è ripreso e ci ha chiesto da chi aveva l'onore di essere arrestato". E noi ci siamo presentati. "Non è uno stupido Provenzano: forse qualcuno ha voluto sminuirne la figura, ma vi assicuro che uno che per 43 anni è riuscito a sfuggire alla cattura non poteva essere uno stupido. Ognuno di noi ha dovuto letteralmente 'buttare il sangue' per prenderlo".

La soddisfazione, anche a distanza di molti giorni è tanta, "e poi ricevere di persona poco prima di salire sull'elicottero che avrebbe portato il boss mafioso nel carcere di Terni il 'grazie ragazzi' di Nicola Cavaliere (capo della Dac della Polizia di Stato ndr) e del procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso ti ripaga di anni di sacrifici. E capisci che hai scelto un lavoro per cui i tuoi figli sono fieri di te".
26/04/2006
(modificato il 20/12/2007)
Parole chiave: