Con l'operazione "Security" tagliati alcuni tentacoli della Mafia al Nord

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Sono accusati di aver costituito un’associazione per delinquere che ha favorito, mediante una pluralità di reati, gli interessi, a Milano e provincia, della famiglia mafiosa dei Laudani, attiva nella provincia di Catania. Nei confronti delle 15 persone coinvolte il Giudice per le indagini preliminari di Milano ha emesso un’ordinanza che ha portato undici indagati in carcere e tre ai domiciliari, mentre ad un altro è stato notificato l’obbligo di dimora. Altri due fermi di indiziato di delitto sono stati eseguiti a Catania.

Le indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia e condotte dalla Squadra mobile di Milano insieme ai militari del nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Varese, hanno consentito di individuare l’associazione, prevalentemente composta da imprenditori, anche attraverso prestanome.

L’attività investigativa, avviata a giugno 2015, ha consentito di accertare come la famiglia mafiosa dei Laudani sia riuscita, attraverso una serie di società e cooperative, ad infiltrarsi nel tessuto economico lombardo.

Dall’indagine, denominata “Security”, sono emersi stretti rapporti tra alcuni dirigenti delle società coinvolte e messe in amministrazione giudiziaria, e alcuni personaggi ritenuti appartenenti alla famiglia mafiosa ritenuta il braccio armato del boss Nitto Santapaola.

In particolare sarebbero emerse infiltrazioni mafiose all’interno di una grande catena tedesca di supermercati, i cui vertici sarebbero estranei alla vicenda, in alcune società del consorzio che ha in appalto la vigilanza privata del tribunale di Milano, e in alcuni appalti comunali relativi alle scuole.

Sono state poste in amministrazione giudiziaria quattro direzioni generali della società della grande distribuzione, una in Lombardia, due in Piemonte e una in Sicilia.  

Nell'ordinanza del Gip si parla di stabile asservimento di dirigenti preposti all'assegnazione degli appalti, con lo scopo di ottenere l'assegnazione delle commesse, a favore delle imprese controllate dagli associati, in spregio alle regole della concorrenza con grave pregiudizio per il patrimonio della società appaltante.

Secondo gli investigatori l’associazione avrebbe funzionato da serbatoio finanziario del clan, e, in particolare, i soldi delle attività al Nord servivano per aiutare economicamente le famiglie dei detenuti.

Alcuni imprenditori di origine siciliana avevano creato consorzi di cooperative nel settore della logistica e della vigilanza privata, a cui venivano appaltate commesse per gli allestimenti e la logistica dei punti vendita, e che avevano vinto gare per gestire la sicurezza anche del tribunale di Milano.
 

15/05/2017