Spaccio nel centro di Genova: 23 arresti con l'operazione "Red bag"

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Le otto persone arrestate dai poliziotti del commissariato Prè di Genova, appartenevano a tre gruppi criminali diversi, ma, in caso di necessità, non disdegnavano di collaborare tra loro. Gli indagati sono accusati di rifornire i pusher del centro storico operanti nella zona tra via Prè, via del Campo, piazza Raibetta e piazza delle Erbe; sette di loro sono finiti in carcere e uno ai domiciliari. Alla fase conclusiva dell’operazione hanno collaborato anche le Squadre mobili di Genova, Bergamo e Brescia.

Nel corso dell’indagine erano stati già arrestati, in flagranza di reato, 15 spacciatori, nonché sequestrati oltre 100 chilogrammi di sostanze stupefacenti (hashish e cocaina) e più di 50mila euro in contanti.

La droga veniva custodita anche al di fuori del centro storico, in luoghi che all’occorrenza fungevano pure da base operativa per il confezionamento delle singole dosi.

Gli investigatori hanno individuato sei siti di stoccaggio, tre nel centro storico (vico Vegetti, vico dei Ragazzi, via di Canneto il Lungo) e tre in altre zone della città (Borzoli, Marassi e Castelletto).

L’attività investigativa, denominata “Red bag” è iniziata nel settembre del 2016 dopo l’arresto di due nordafricani trovati in possesso di circa 15 chilogrammi di hashish che erano nascosti dentro un trolley rosso e destinati agli spacciatori del centro storico.

L’indagine, sviluppata nei mesi successivi, ha permesso di ricostruire le strutture e i traffici dei gruppi di “grossisti” che si occupavano di rifornire i pusher di cocaina e hashish.

Si tratta di bande autonome tra loro, che però collaboravano costantemente per segnalarsi a vicenda la presenza degli investigatori nel loro raggio d’azione.

In momenti di crisi del mercato è capitato però che i gruppi si prestassero a vicenda lo stupefacente, mentre, almeno in un’occasione, uno di loro ha offerto a un concorrente i propri locali sicuri per nascondere la droga.

L’attività investigativa ha inoltre fatto luce sui canali di approvvigionamento degli stupefacenti, provenienti da due cittadini del Marocco residenti nelle province di Brescia e Bergamo. I due si recavano spesso a Genova per contrattare la compravendita di grosse quantità di stupefacenti.

Fondamentale è stato l’utilizzo delle telecamere nascoste che, insieme alle numerose intercettazioni telefoniche, hanno permesso di individuare gli appartamenti utilizzati come deposito della merce, gli spacciatori, le vedette e i loro clienti, verificare l’entità delle consegne e sequestrare la droga.

La cocaina aveva una purezza del 60 per cento, e veniva ulteriormente tagliata, ottenendo dosi pure al 30 per cento, raddoppiandone di fatto la quantità.

Nelle loro richieste i pusher, oltre alla quantità desiderata, specificavano anche il logo che caratterizzava lo stupefacente (mela, diamante, palma, leone), una sorta di marchio di fabbrica che ne attestava il grado di purezza.

Per esempio, l’hashish di qualità superiore, che aveva un prezzo triplo rispetto a quello solitamente in commercio, veniva indicato come “ghiande”, “semi” o la “bionda”.

Sergio Foffo

27/02/2018